La Silicon valley alla milanese non potrà nascere soltanto creando nuove strutture di ricerca ma solo se ci sarà un progetto industriale per l’intero paese in grado di orientare, incentivare, di favorire le sperimentazioni specialmente delle imprese innovative e soltanto se ci saranno investimenti adeguati per l’istruzione universitaria.
Del resto, è noto che la ricerca nelle nostre università è stata pressochè azzerata dai tagli di bilancio e le università languono. La somma di 150 milioni all’anno per l’ipotetico polo milanese è una piccola goccia per il paese che finanzia l’istruzione superiore e la ricerca con le risorse più modeste d’Europa.
Ciononostante, a parte qualche marginale critica, la boutade di Renzi è stata accolta con molto favore dal grande circo mediatico.
Sono tre i motivi profondi di questo consenso.
Il primo è l’eterno gioco della speculazione fondiaria.
Sulle aree Expo arriverà un fiume di cemento: con l’urbanistica a la carte in voga a Milano, infatti, si è consolidata la prassi di attribuire ad ogni metro quadrato di proprietà fondiaria una edificazione di 0,2 metri quadrati. L’area Expo misura 105 ettari e si potranno realizzare almeno 210 mila metri quadrati di edifici. Il progetto renziano riguarda 70 mila metri quadrati. Restano dunque 140 mila metri cubi su cui costruire abitazioni o ipermercati, l’unica attività in cui eccelle la struttura d’impresa milanese.
Il Corriere della Sera ha proposto la realizzazione di case dello studente. La recente esperienza di Tor Vergata a Roma non fa dormire sonni tranquilli: nel grande campus universitario sono stati di recente inaugurati alloggi per studenti ma non con i soldi pubblici, bensì finanziati attraverso un apposito fondo immobiliare. Quegli alloggi ospitano chiunque, non solo studenti. E’ questo il modello anche per Milano: altre case in una città soffocata?
Il secondo motivo è l’ulteriore colpo alle autonomie comunali.
E’ stato il primo ministro ad annunciare in conferenza stampa un progetto non discusso con i sindaci di Milano e dei comuni limitrofi: Giuliano Pisapia ascoltava come tutti gli altri le esternazioni del presidente del consiglio, Questa prassi comincia a preoccupare perché fa il paio con lo scioglimento coatto di Roma.
Le due più grandi città d’Italia, insomma, non possono godere del normale corso amministrativo: grandi progetti come il futuro delle aree expo o grandi eventi come il Giubileo sono terreno esclusivo di caccia del primo ministro o di un prefetto. I comuni italiani sono stati portati sull’orlo della bancarotta per i tagli di bilancio e il governo dimostra che non ha alcun interesse a risolvere il problema. Anzi, rincara la dose comprimendo la democrazia.
Il terzo motivo riguarda l’affidamento del futuro delle città a manager spesso inesistenti.
L’esperienza Expo depurata dalla retorica imperante è stata infatti un disastro senza precedenti. Dal 2007 all’aprile 2015 non si è stati in grado di realizzare nella sua interezza il progetto, eppure sono stati spesi 14 miliardi di euro. Gli scandali e le malversazioni hanno riempito le cronache giudiziarie e le galere.
Eppure il commissario Sala viene dipinto come l’unico in grado di guidare Milano. E qui il risvolto più amaro riguarda l’inerzia dimostrata dal comune di Milano nel progettare il futuro: è in questo vuoto di prospettiva che hanno avuto buon gioco le improvvisazioni di Renzi e l’eterna tentazione della ricerca del manager demiurgo.