Italicum for president. La legge serve per l’elezione diretta

Martedì, 28 Aprile 2015 16:35

 

di Alfonso Gianni pubblicato su Il Manifesto il 27/04/2015

Pre­mier Ita­li­cum, lo ha nomato Ilvo Dia­manti. Stiamo par­lando di Mat­teo Renzi, natu­ral­mente. Dif­fi­cile tro­vare un epi­teto più azzec­cato per il pre­si­dente del con­si­glio se gli riu­scirà il colpo grosso di por­tare a casa, tra voti di fidu­cia, ricatti poli­tici e psi­co­lo­gici, minacce di fine anti­ci­pata e trau­ma­tica della legi­sla­tura, la legge elet­to­rale cui ha legato, inu­si­ta­ta­mente, le sorti del pro­prio governo. In effetti Rosi Bindi ha rile­vato quanto sia impro­prio che un governo ritenga vitale per la pro­pria soprav­vi­venza un pro­getto su una mate­ria che dovrebbe essere di squi­sita per­ti­nenza par­la­men­tare, come la legge elettorale.

 

Ma non si tratta di una stra­va­ganza o sem­pli­ce­mente di un atto estremo di arro­ganza. Il pro­blema è che l’Italicum è molto di più e peg­gio di una legge elet­to­rale, anche se in quanto tale già fa rim­pian­gere i bei tempi della legge truffa di Alcide De Gasperi, dove almeno il pre­mio di mag­gio­ranza veniva dato a chi già ce la aveva per con­fe­ri­mento elettorale.

In realtà con l’Italicum si vuole cam­biare nel pro­fondo la natura dello Stato ita­liano, modi­fi­can­done la strut­tura isti­tu­zio­nale, i rap­porti tra i poteri, i ruoli dei mede­simi senza pas­sare attra­verso una espli­cita modi­fica del det­tato costi­tu­zio­nale. E’ quanto emerge dalle parole dei suoi stessi inven­tori e soste­ni­tori, cui con­viene pre­stare la dovuta atten­zione. Roberto D’Alimonte deve odiare a tal punto il prin­ci­pio di non con­trad­di­zione, da riu­scire, nello stesso arti­colo, a con­trad­dire pale­se­mente sé stesso.

Sul Sole 24 Ore di dome­nica prima afferma che si trat­te­rebbe di pura scioc­chezza con­si­de­rare l’Italicum come il cavallo di Troia che intro­duce il pre­si­den­zia­li­smo nel nostro ordi­na­mento, dal momento che le norme costi­tu­zio­nali con­cer­nenti le figure del pre­si­dente del con­si­glio e del capo dello stato non ven­gono toc­cate. Tutti sanno però – e il suo idea­tore, cioè lo stesso D’Alimonte, non lo nasconde – che ben dif­fi­cil­mente un par­tito o una lista pos­sono rag­giun­gere e supe­rare al primo colpo la soglia del 40% che farebbe scat­tare il pre­mio di mag­gio­ranza, in realtà, più cor­ret­ta­mente, di mino­ranza. Il senso della nuova legge è pro­vo­care il bal­lot­tag­gio fra due schie­ra­menti in modo da fare sce­gliere ai cit­ta­dini “diret­ta­mente” chi li gover­nerà. In realtà — sia detto qui per inciso– si tratta di una pura illu­sione o meglio men­zo­gna, dal momento che le poli­ti­che dei governi nazio­nali sono sovra deter­mi­nate dalle scelte della Ue, come si vede nel caso greco.

Il nostro poli­to­logo non si scom­pone e con non­cha­lance afferma che se nel bal­lot­tag­gio «la scelta è tra due lea­der e due par­titi, sarà il lea­der del par­tito vin­cente a diven­tare capo del governo». E il capo dello stato che cosa ci sta a fare? Non pre­oc­cu­pa­tevi: la nomina del pre­si­dente del con­si­glio spet­te­rebbe for­mal­mente sem­pre a lui. Ma sarà una nomina “obbli­gata”, con­ti­nua il nostro, che aggiunge: «Dun­que è vero: il mec­ca­ni­smo pre­vi­sto dall’Italicum intro­duce l’elezione diretta del capo del governo» e que­sto al di là della forma, per­ché «in poli­tica la sostanza conta quanto la forma. Se non di più» e quindi «un sistema elet­to­rale potente come l’Italicum influirà … sul fun­zio­na­mento con­creto delle isti­tu­zioni della Repub­blica, in par­ti­co­lare Par­la­mento e Presidenza».

Dif­fi­cile leg­gere un disprezzo mag­giore per le norme costi­tu­zio­nali, le quali ver­reb­bero aggi­rate e pro­fon­da­mente modi­fi­cate da una legge elet­to­rale che è pur sem­pre legge ordi­na­ria. Il pre­si­den­zia­li­smo ver­rebbe impo­sto per via di fatto, e la modi­fica for­male della Costi­tu­zione riman­data a tempi ancora più favo­re­voli di quelli attuali per la mag­gio­ranza ren­ziana. Ancora una volta la volontà dei cit­ta­dini è messa sotto i piedi. Non quella vir­tuale, ma quella demo­cra­ti­ca­mente espressa nel refe­ren­dum del 2006. Che rag­giunse il quo­rum per quanto non neces­sa­rio, tanto fu par­te­ci­pato, e che boc­ciò la riforma costi­tu­zio­nale votata dalla mag­gio­ranza ber­lu­sco­niana che pre­ve­deva il pre­mie­rato, cioè l’incremento dei poteri del pre­si­dente del con­si­glio, fra cui lo scio­gli­mento delle camere, e la con­se­guente dimi­nu­zione di quelli del capo dello stato, fra cui la pre­ro­ga­tiva pre­vi­sta dall’articolo 92 della Costi­tu­zione, di nomi­nare il primo ministro.

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