Ciò che davvero appare inaudito è l'abdicazione dalle responsabilità dei socialisti del Psoe e la paralisi del suo segretario generale. Dov'è Pedro Sanchez? Com'è possibile che ancora oggi non abbiamo intavolato una discussione? Non vede la possibilità di un governo alternativo a quello di Rajoy?
Diceva Enrico Berlinguer che la geopolitica dei vecchi partiti è fatta di nomi e luoghi. La mattina del 21 dicembre la geopolitica del potere del Psoe ha cominciato a lavorare, caotica e contradittoria. I nomi (Felipe González, Susana Díaz, Emiliano García-Page, Guillermo Fernández-Vara...) e i luoghi (Bruxelles, Ferraz, San Telmo..) hanno cominciato una danza che rimpicciolisce un segretario generale che si è dimostrato più preoccupato di ottenere una rielezione nel suo partito a gennaio piuttosto che candidarsi come primo ministro.
Poche ore dopo Susana Dìaz (esponente storica dei socialisti spagnoli, ndT) ha indicato che è meglio, per lui, spostare il congresso generale del Psoe ad aprile; non si è mosso nulla. I baroni del Psoe sono intervenuti in televisione bloccando la possibilità che Sanchez dialogasse con qualcuno che non fosse del Partito popular o di Ciudadanos. In questo modo, il Psoe rimane appeso alla alternativa di accettare che i popolari vadano al governo oppure di cominciare una ricerca incerta di una nuova candidata (o candidato) che possa riparare in futuro il risultato elettorale di Sanchez (il peggiore del Psoe nella storia della democrazia spagnola).
Nel frattempo anche la geopolitica dei luoghi del potere si è messa in funzione: come ha scritto El Pais in un editoriale del 29 luglio 2012, è un fatto assodato che i rappresentanti dei poteri forti facciano pressione a Sanchez affinché stringa un urgente patto con il Partito popular.
I nostri cinque milioni di voti, le nostre vittorie in Catalogna e nei Paesi Baschi, il nostro secondo posto a Madrid, Valencia, alle Canarie, alle Baleari, in Navarra e in Galizia è un risultato storico ma non sufficiente per consentirmi di presentarmi dal capo dello Stato e dichiarare la mia disponibilità a diventare presidente del governo.
Tuttavia questi risultati mi conferiscono il mandato di proporre a tutte le forze politiche, quelle contrarie a un governo del Partido popular, un accordo nuovo per il paese che faccia avanzare la transizione ed evitare l'immobilismo.
Blindare i diritti sociali nella Costituzione, la deroga all'articolo 135 (il cosiddetto Patto di stabilità, ndT), riforme sul lavoro, stop all'austerity, usare la democrazia come la via più efficace per risolvere le crisi territoriali facilitando la soluzione di un paese unito nelle sue diversità, cambiare la legge elettorale, farla finita con l'incrocio delle carriere pubbliche e private, assicurare l'indipendenza dei giudici: non sono una linea rossa per un negoziato bensì la base minima per un compromesso storico adatto alla nuova fase che sta cominciando.
Se non permettono a Sanchez di diventare primo ministro, perché magari non è nelle condizioni di essere leader del proprio partito, forse è il momento che una figura indipendente di prestigio prenda in mano la situazione per fare in modo che in Spagna smetta di governare il Partido Popular e si ponga fine alla corruzione e alla disuguaglianza.
Noi non permetteremo, né attivamente né passivamente, che il Partito Popular (con o senza Rajoy) continui a rimanere al governo e ci parrebbe una truffa democratica se i socialisti (con o senza Sanchez) lo permettessero o lo mettessero in pratica pensando alla propria geopolitica interna di luoghi e personalità.
Di fronte ai tentativi di restaurazione e alle lotte intestine di potere che hanno luogo all'interno di ingranaggi vecchi, l'importanza dello Stato e l'impegno per la giustizia sociale e contro la corruzione saranno le linee che guideranno il nostro agire affinché la Spagna possa avanzare avendo come protagonisti i suoi popoli e la sua gente.
Questo post è apparso originariamente nel sito El Huffington Post ed è stato tradotto dallo spagnolo da Laura Eduati