Che contro quest'ipotesi si scagliasse la Merkel era prevedibile ma che tra i più scatenati vi fossero Renzi e i leader di altri paesi duramente colpiti dalla crisi, come l'Irlanda, non lo si poteva certo immaginare. Segno, da una parte, della subalternità delle cancellerie al mondo della finanza, e dall'altro, dal punto di vista geopolitico, della pericolosa egemonia teutonica nell'Europa odierna.
Paradossalmente, quell'euro che nacque per bilanciare i possibili pericoli derivanti dalla riunificazione tedesca, oggi è sempre più la cinghia di trasmissione di una predominanza politica della Germania sul resto del continente. Chissà, forse hanno compreso che con la finanza si può ottenere il potere più facilmente che con le occupazioni e le guerre.
Ma il premier greco tiene duro e dinanzi al parlamento che oggi, dopo una lunghissima discussione, dovrebbe esprimere il proprio voto di fiducia, si è impegnato a rispettare il programma elettorale con cui si è presentato. All'Ue chiede un credito ponte, per arrivare a giugno, quando rinegozierà il debito e non una nuova estensione del piano di salvataggio da 240 miliardi che salvò Atene dal default, perché «la Grecia ha intenzione di pagare il suo debito, però vuole raggiungere un'intesa comune con i partner per l'interesse di tutti: il problema del debito greco non è economico ma politico».
In realtà, Tsipras chiede un taglio del debito del 60% o la trasformazione dello stesso (circa 280 miliardi) in un megabond a scadenza illimitata, da restituire quando la crescita arriverà almeno al 3%. Inoltre, il giovane premier vuole indire una conferenza mondiale sul debito, simile a quella che cancellò il 90% del debito tedesco dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Tsipras ha poi precisato che intende sì rispettare il patto di stabilità stipulato nel '97 per rafforzare il trattato di Maastricht, però con l’esclusione degli investimenti pubblici dal calcolo dei parametri previsti dal Fiscal compact, perché «l'austerità non fa parte del trattato». Quindi ha annunciato l'istituzione di una commissione parlamentare d'indagine sul memorandum stipulato dal suo predecessore con la troika.
Intanto, distribuzione di cibo ed elettricità ai bisognosi e lalotta dura alla corruzione e all'evasione fiscale saranno le priorità del nuovo governo. A seguire, vi sono la riassunzione di tutti i dipendenti pubblici licenziati illegalmente, l'innalzamento del salario minimo mensile a 750 euro e il ritorno al pagamento delle tredicesime per i redditi sotto i 700 euro, l'abolizione dell'attuale tassa sugli immobili e la sua sostituzione con una tassa sulle grandi proprietà immobiliari, l'esenzione dalle tasse per i redditi al di sotto dei 12.000 euro annui e una maggiore progressività del sistema fiscale. Saranno inoltre ripristinati i contratti collettivi di lavoro. Infine, non vi saranno ulteriori tagli alle pensioni e non sarà elevata l'età pensionabile e con il Piano di Ricostruzione Nazionale si darà una risposta ai bisogni del decile più povero del Paese, a partire dalla lotta alla disoccupazione, che riguarda un terzo della popolazione.
Si dirà che sono misure troppo dispendiose per un paese il cui deficit ha superato il 180% del Pil ma, tanto per cominciare, il leader di Syriza le controbilancia con il taglio immediato di una serie di sprechi: dai benefit erogati ai politici alla vendita di uno degli aerei in dotazione al premier e di 800 auto blu; dal taglio del 30% dei funzionari e del 40% degli agenti di polizia assegnati alla presidenza del consiglio.
Infine, sul piano dei diritti civili verrà concessa la cittadinanza agli immigrati di seconda generazione e, per garantire il diritto all'informazione, sarà riaperta la tv pubblica, chiusa perché giudicata troppo costosa ma forse più perché troppo “libera”.
Va, infatti, ricordato che in Grecia i canali privati non solo non hanno mai corrisposto un euro allo Stato ma sono tutti nelle mani dei proprietari dei maggiori quotidiani, nonché delle più grandi società del paese, che fino a ieri gestivano tutti gli appalti pubblici, senza che neppure uno straccio di gara.
Ma la vera bomba nel programma del premier greco è la ferma intenzione di chiedere le riparazioni di guerra alla Germania per i 4 anni d'occupazione che devastarono il paese e che ne hanno fortemente condizionato il successivo sviluppo. Come si ricorderà, i vincitori della seconda guerra mondiale non vollero ripetere gli errori compiuti con il trattato di Versailles nel 1919. Nel 1953 venne abbonato alla Germania federale il 50% del debito corrispondente ai danni provocati dal regime nazista. Tanto più che gli occupanti tedeschi obbligarono la Grecia ad un prestito forzoso, mai restituito, per finanziare le guerre del regime.
Insomma, un programma che sembra dare risposte a quell'umanità dolente fotografata dal recente rapporto della Caritas “Gioventù ferita”. Un dossier che snocciola cifre da situazione post bellica, in cui i più colpiti sono i bambini il cui un tasso di mortalità è raddoppiato, le condizioni di salute aggravate dalle carenze nutritive e dalla mancanza di controlli medici e farmaci.
Ma ciò che colpisce di più è l'aumento, in cinque anni, del 336% dei bambini abbandonati e dati in adozione da parte dei genitori, per mancanza di mezzi di sussistenza.
Insomma, quello che Tsipras chiede è un new deal per il suo paese e per l'Europa tutta, un'uscita da quell'austerità che ad oggi ha solo impoverito la gran parte della popolazione europea, accentuato le diseguaglianze e portato alla recessione.
Dalla sua parte intanto si sono schierati oltre 300 eminenti economisti europei e americani, primo firmatario, il tedesco Altvater, che hanno sottoscritto un appello ai governi Ue e alle istituzioni internazionali affinché «rispettino le decisioni del popolo greco e aprano dei negoziati per risolvere la questione del debito» per evitare il default di Atene ma anche la lenta agonia dei paesi aderenti all'Ue. Perché, scrivono «Una politica di minacce, di ultimatum, di ostinazione e di ricatti significherebbe il fallimento morale, politico ed economico del progetto europeo».
E per gli economisti italiani che hanno sottoscritto l'appello, l'Italia - che, seppur più solvibile, è in condizioni analoghe alla Grecia - può uscire dall'attuale crisi solo se appoggia la richiesta di Tsipras di rivedere le attuali politiche europee di austerity «che sono state finora un vero fiasco».
I sottoscrittori condividono in pieno il programma economico di Tsipras, che ritengono l'unica via praticabile per uscire dalla crisi e pensano che il nuovo governo greco abbia ragione a chiedere la cancellazione del proprio debito, perché esso «qualsiasi cosa accada, non sarà mai rimborsabile. Viceversa una ripartenza della Grecia permetterà di rilanciare anche i paesi vicini. Ciò che è in gioco non sono solo le sorti della Grecia ma dell'intera Europa». Per questo chiedono «a tutti i leader europei di rigettare e condannare ogni tentativo di intimidazione e di coercizione nei confronti del governo e del popolo greco» in quanto «il successo della Grecia può indicare un cammino verso la prosperità e la stabilità per l'Europa. Ciò permetterebbe un rinnovamento della democrazia e aprirebbe i giochi elettorali ad altri cambiamenti costruttivi».
Un appello che, ad oggi, appare inascoltato, in particolare dal nostro premier e dal suo ministro dell'economia.
Il problema è che, come si sarebbe detto una volta in ben altri contesti, per le tecnocrazie europee occorreva “colpirne uno (la Grecia, ma anche: l'Italia e la Spagna) per educarne 100” (ossia 27, perché la Germania della Merkel ha assurto il ruolo di educatore).
Come giustamente ha affermato Katerina Giannaki, membro del Consiglio dei greci all’estero, «La Grecia è stata la cavia di un sistema economico finanziario che non funziona più. Anziché ridarci i soldi per ciò che ci hanno fatto nel 1945, i tedeschi oggi pretendono ciò che noi non potremo mai dare».
Gli italiani, rispolverando un antico asse, sono stati gli allievi apparentemente più ligi, tant'è che sono stati i primi a dirsi d'accordo con la decisione della Bce di chiudere ogni linea di credito alle banche greche. E nel nostro paese, più che in altri, si è insistito sul fatto che ogni cittadino italiano è creditore di 40.000 euro nei confronti della Grecia. Una guerra tra poveri, che non porta da nessuna parte.
Quanto alla Germania, se tutta l'Europa dopo i danni di guerra ha pagato pure il costo della sua riunificazione, le sue banche, specie dopo la caduta del muro, hanno speculato sui paesi più poveri, dai Balcani alla Grecia.
Perché i duri e puri di Berlino non hanno sfoderato la stessa intransigenza dinanzi alle spese faraoniche di Atene 2004? Forse perché la propria finanza, insieme a quella italiana, americana e inglese ci guadagnava? Perché non si è usata la stessa diligenza al momento dell'ingresso della dracma nell'euro, quando Eurostat, nel 2001, denunciò la falsificazione dei conti pubblici greci? Forse perché conveniva alle banche creditrici, che avevano finanziato tutto il sistema degli sprechi, dalle Olimpiadi all'acquisto di armi sofisticate e costose, come i sottomarini francesi, per finire al clientelismo diffuso?
Chissà magari tutto questo sta accadendo perché si preferisce gettare i greci nell'abbraccio mortale di Alba Dorata piuttosto che veder realizzato con successo un modello alternativo a quello liberista. I neonazisti di oggi come i colonnelli ieri sono certamente una garanzia per quei poteri forti che vogliono cancellare ogni forma di democrazia rappresentativa nel vecchio continente per potersi meglio garantire i profitti. Un esperimento già riuscito in passato in sud America, con Cile e Argentina, solo che ora si tenta nella democratica Unione europea.
Fino al 18 febbraio, le banche greche possono ottenere liquidità attraverso lo “sportello di ultima istanza” Emergency liquidity assistance, poi, a seguito della decisione della Bce di non aprire più ad esse linee di credito, si rischia il baratro, visto che tra dicembre e gennaio sono stati chiusi conti di deposito per un valore di oltre 15 miliardi di euro dai cittadini terrorizzati dal rischio di un congelamento dei conti. Da fine marzo prossimo il paese rischia il default, intanto i tassi di interesse sui bond a dieci anni sono prossimi al 10% e quelli sui triennali hanno superato il 18%.
Sembra di essere dinanzi a un count down: l’11 febbraio, è stato anche convocato un vertice straordinario dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, che sarà seguito il giorno successivo da quello dei capi di stato e di governo.
Il 28 febbraio scade il programma europeo di assistenza finanziaria alla Grecia, concordato a suo tempo con Fmi, Bce e Ue. Tsipras non vuole alcun prolungamento finché non cambiano le condizioni.
Probabilmente, i falchi, non solo quelli tedeschi, rigetteranno le proposte del ministro dell'economia Varoufakis e torneranno a chiedere il licenziamento dei dipendenti pubblici, la riforma delle pensioni, la privatizzazione dei servizi, la vendita dei porti, ecc. Senza accordo, la Ue potrebbe non versare l’ultima rata di 7 mld, indispensabile per permettere al governo di dare il via ai primi interventi previsti dal suo programma. Tuttavia dalla lotta all'evasione fiscale, al contrabbando e dalla revisione dei crediti del tesoro si potrebbero avere nuove entrate per 12 mld. Infine, una task force del ministero delle Finanze investigherà sulla esportazione di capitali all'estero da parte di notabili greci e sulla cosiddetta lista Lagarde, un elenco di 1991 evasori - fra cui molti politici che all'epoca avevano trasferito 25 miliardi in Svizzera - trasmesso dall'allora ministro francese e insabbiato dal governo greco dell’epoca.
Se vinceranno i falchi, saranno cancellate le scelte democratiche del popolo greco. Come cittadini europei possiamo e dobbiamo fare tutto il possibile, perché la partita in gioco è la difesa della loro e della nostra democrazia.