Col Jobs Act i giovani rottamatori festeggiano l’anno I dell’era Renzi

Martedì, 24 Febbraio 2015 09:34

jobs act

di Adriana Spera pubblicato su IlFoglietto.it il 24 febbraio 2015

L'Italia è un'oligarchia fondata sui licenziamenti. Così, dopo il varo del Jobs Act (non si sa perché al plurale, forse per distinguere tra lavoratori dipendenti e datori di lavoro) e in tempi di controriforma costituzionale, si dovrebbe avere il coraggio di riscrivere l'articolo 1 della nostra Carta fondamentale, anziché vender fumo come hanno fatto finora premier e ministro del lavoro.

 

Sì perché siamo dinanzi all'ennesimo inganno e, con slogan degni dei migliori piazzisti, ci si vuol far credere che è finita la giungla dei contratti di lavoro posta in essere prima con la riforma Treu e poi con la Biagi e che si torna ad una sola forma contrattuale, quella del tempo indeterminato, seppur a tutele crescenti. Ma così non è.

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, recita l'articolo 1 della nostra Carta Costituzionale, quasi un incipit che i nostri padri costituenti vollero per porre su tutto la dignità del lavoro e dei lavoratori dopo gli anni della barbarie fascista, durante la quale i lavoratori erano stati privati di ogni diritto, pur di accontentare la classe padronale.

Ora, in tempi di demolizione di quella Carta - così all'avanguardia da non essere mai stata del tutto attuata e a cui si era potuti pervenire dopo la guerra di Liberazione dal nazifascismo, che tante vite era costata - il governo dei giovani rottamatori festeggia l'anno I dell'era Renzi con  l'approvazione del Jobs Act.

Qualcuno obietterà che siamo ancora in una democrazia parlamentare, formalmente le cose stanno così, ma è smentito tra l'altro dall'iter seguito per il varo della nuova legislazione sul lavoro.

Il governo, infatti, ha ottenuto dal Parlamento una delega in bianco e l'unico paletto messo sui licenziamenti collettivi, con un ordine del giorno votato all'unanimità, neppure è stato rispettato. Un'autostrada, dunque, che ora il governo è deciso a ripercorrere per la scuola.

Per Renzi è un evento storico «Superiamo l’articolo 18 e i co.co.co». Vera la prima affermazione, ma non è detto che nei fatti lo sarà la seconda (contratti co.co.co. e co.co.pro. non si potranno più stipulare dal 1 gennaio 2016 e quelli in essere andranno verificati).

Anche se afferma: «Abbiamo tolto ogni alibi a chi dice che in Italia non ci sono le condizioni per assumere», in realtà, la preoccupazione massima del premier è rassicurare la parte datoriale, garantire l'avvenuta cancellazione dell'articolo 18 anche nei casi di licenziamento collettivo, in barba alla volontà espressa dal Parlamento.

Messo alle strette dalla stampa su questo punto, egli svicola, affermando «l'Italia sta ripartendo, i dati che abbiamo sono i dati di un Paese che torna a guardare al futuro con speranza». Evidentemente, solo lui li conosce.

Ma si può ancora parlare di contratto a tempo indeterminato laddove i licenziamenti non hanno più ostacoli?

In realtà, le imprese avranno tutto l'interesse ad assumere a tempo indeterminato, solo perché, così facendo, potranno usufruire di consistenti sgravi contributivi a carico dello Stato. Ma, scaduto il tempo delle agevolazioni (36 mesi), avranno tutto l'interesse a licenziare e ad assumere altri per poter ricominciare ad usufruire delle agevolazioni.

Tanto più che il lavoratore in quei primi tre anni è a tutti gli effetti un precario, licenziabile in ogni momento con un indennizzo ridicolo. Ad esempio, «Nelle piccole imprese, la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale — ha spiegato il governo — Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità».

Superato lo scoglio dei 36 mesi, in caso di licenziamento senza giusta causa, il datore di lavoro dovrà liquidare al dipendente un indennizzo pari a due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro nell’azienda, da un minimo di 4 a un massimo di 24 mesi di indennizzo (con l'art. 18 erano da 12 a 24 mesi ma nelle sole imprese con più di 15 dipendenti).

In alternativa, sarà possibile ricorrere alla conciliazione veloce, nella quale il datore di lavoro offre una mensilità per ogni anno di anzianità, fino a un massimo di 18 mensilità.

L'articolo 18 sarà ancora valido per chi ha un contratto stipulato prima dell’entrata in vigore della legge (anche questo un incentivo a licenziare e fare nuovi contratti senza queste tutele) e per i  i licenziamenti discriminatori (posti in essere per motivi politici o sindacali o in ragione del sesso, della religione o dell'etnia del lavoratore) o disciplinari per i quali venga provata l’insussistenza del fatto contestato.

In questi soli casi dovrebbe esser garantito il reintegro e limitatamente ad alcune fattispecie  dettagliate il più possibile, per ridurre al minimo la discrezionalità dei giudici.

Come si ricorderà, il Jobs Act doveva servire a disboscare la giungla dei contratti atipici, in realtà è servito solo a cancellare l'articolo 18, perché di tipologie di contratto ne restano 45, da 47 che erano - ammesso che i 502mila co.co.co e co.co.pro effettivamente spariscano dal 2016. Spariscono solo  due forme contrattuali pochissimo diffuse: l'associazione in partecipazione e il jobs sharing, che coinvolgono circa 300mila persone.

Dal 1° gennaio 2016, i contratti a progetto potranno essere trasformati in contratti a tempo indeterminato, grazie ad alcune agevolazioni. Per lo staff leasing, vengono eliminate le causali in modo da consentire alle imprese di ricorrere liberamente a questa forma di assunzione. Resta il lavoro a chiamata, mentre i contratti a termine avranno una durata massima di 36 mesi. Per quanto riguarda l’apprendistato, per incentivarne l'utilizzo saranno semplificate le procedure per attivarlo e ridotti i costi per le aziende. Si prevede un’estensione del campo di applicazione del contratto di somministrazione.

Tornando alle collaborazioni, il decreto di riordino stabilisce unicamente i criteri in base ai quali esse possono essere inquadrate come lavoro subordinato. Alla fine dell'anno resteranno comunque in essere le collaborazioni a progetto disciplinate da accordi collettivi sottoscritti con le organizzazioni sindacali.

Insomma, nulla di nuovo sotto il sole, la giungla resta, altro che contratto unico e a tempo indeterminato.

I licenziamenti collettivi potranno essere fatti con criteri stabiliti del tutto unilateralmente dalle imprese.

Ma non basta, i lavoratori dovranno accettare qualsiasi demansionamento (o rimansionamento che dir si voglia) venga loro imposto dall'impresa per poter modificare i propri assetti organizzativi, non necessariamente perché in crisi. Una fattispecie questa, che non era neppure prevista dalla delega, ma che permetterà alle imprese di sottoinquadrare a proprio piacimento i lavoratori. Si dice a parità di retribuzione, ma come tutti sanno da un livello all'altro cambia il salario accessorio.

C'è di più, a livello di contrattazione aziendale saranno possibili ulteriori retrocessioni.

Insomma, un modo per sdoganare il mobbing. Basta che un lavoratore sia scomodo e, in nome di necessità riorganizzative, lo si potrà retrocedere di più livelli. Non sarà certo una retribuzione immutata o no a restituire dignità a quel lavoratore.

Altra novità è la nuova disciplina degli ammortizzatori sociali. Da maggio nasceranno: la Naspi (nuova assicurazione sociale per l'impiego), che andrà a sostituire l'Aspi, e la mini-Aspi della legge Fornero; l'Asdi (l'assegno di disoccupazione riconosciuto a chi non ha trovato impiego e la Naspi è scaduta) e l'indennità di disoccupazione Dis-Col (per i collaboratori).

Chi perde il lavoro e ha almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni ha diritto a un sussidio pari alla metà delle settimane per le quali ha versato i contributi. Il lavoratore licenziato percepirà un'indennità di disoccupazione commisurata alla retribuzione per un periodo massimo di 24 mesi (ma da gennaio 2017 diventeranno 18) e per un importo massimo di 1.300 euro mensili che a partire dal 4° mese decrescerà ogni mese del 3%. Sarà elargita anche ai lavoratori precari da almeno 24 mesi (18 dal 2017) e ai co.co.co (per la durata massima di sei mesi e solo nel caso che abbiano versato più di tre mesi di contributi).

Indennità che viene immediatamente sospesa se non si partecipa ai programmi di politiche attive del lavoro indicati o di riqualificazione professionale o se non si accettano offerte di lavoro. Non conta se  queste comportino trasferimenti o condizioni di lavoro penalizzanti.

Ma Renzi garantisce «Nessuno sarà lasciato solo, più tutele per chi perde il posto». Staremo a vedere.

Non si potrà più autorizzare la Cig in caso di cessazione definitiva dell'attività aziendale e vi saranno nuovi limiti di durata sia per la cassa integrazione ordinaria (ora è due anni) sia per quella straordinaria (che è di quattro).

Infine, sarà istituita l'agenzia nazionale per il lavoro, che dovrebbe funzionare come l'omologa tedesca.

Tre sole le novità che ci fanno fare un piccolo passo di civiltà: 1) il contratto di ricollocazione in caso di gravi malattie, vale a dire un voucher con quale ci si rivolge all'agenzia per trovare un nuovo posto di lavoro; 2) la possibilità, sempre in caso di gravi malattie, per i lavoratori del settore pubblico e privato di trasformare il rapporto di lavoro a tempo indeterminato in part time; 3)  l'estensione del diritto ai permessi parentali - senza decurtazioni stipendiali per un massimo di 10 mesi, finché il bambino non compie 6 anni (ora era 3) e non retribuito fino ai 12 anni - anche a coppie di fatto, genitori adottivi e affidatari.

Troppo poco se si fa un bilancio complessivo dei provvedimenti.

Ciò che sfugge, ancora una volta, ai nostri governanti, ansiosi di ingraziarsi la parte datoriale, è che così facendo si disperde un enorme capitale umano fatto di saperi, di esperienze, di competenze dei lavoratori. Una perdita, quella sì, che incide pesantemente sulla competitività e sulla produttività del sistema paese.

Ma per qualcuno la priorità è togliere dignità ai lavoratori e al lavoro. E poi dicono che è una posizione ideologica quella di chi difende a oltranza l'articolo 18.

I tre decreti varati venerdì scorso - 1)Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti; 2) Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati; 3) Testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni -  dovranno ora passare all’esame delle Camere che esprimeranno, al di là delle tante dichiarazioni indignate di queste ore, un parere non vincolante prima dell’approvazione definitiva da parte del governo.

Ma la nostra è ancora una democrazia parlamentare?

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